domenica 26 febbraio 2017

LA CACCIA AI FANTASMI



Presentato Fuori Concorso al sessantesimo Festival Internazionale di Berlino, Shutter Island segna la quarta collaborazione di Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio, prima occasione in cui un film dei due non ricevette nessuna nomination all'Oscar. Nonostante il film e i suoi interpreti sappiano trasmettere la necessaria inquietudine e affascinare…

Il film. 1954. Durante la Guerra Fredda, il capo della polizia locale Teddy Daniels e il suo nuovo partner Chuck Aule vengono convocati a Shutter Island per indagare sull'inverosimile scomparsa di una pluriomicida che sarebbe riuscita a fuggire da una cella blindata dell'impenetrabile ospedale di Ashecliffe. Circondati da psichiatri inquisitori e da pazienti psicopatici e pericolosi confinati sull'isola remota e battuta dal vento, i due poliziotti si trovano immersi in un'atmosfera imprevedibile dove nulla è come appare. Con un uragano in arrivo, le indagini procedono velocemente: man mano che la tempesta si avvicina, i sospetti ed i misteri si moltiplicano e diventano sempre più terrorizzanti e terrificanti con l'emergere di oscuri complotti, sordidi esperimenti medici, lavaggi del cervello, reparti segreti, ed eventi soprannaturali...

Dietro le quinte. Quando ancora il film sembrava dovesse chiamarsi 'Ashecliff' (dal nome dell'istituto), si era pensato a Wolfgang Petersen per la regia, e poi a David Fincher. Anche il ruolo di Chuck Aule doveva avere un interprete diverso: il Josh Brolin che DiCaprio e Scorsese avevano già scelto… prima che una accorata lettera 'da fan' di Mark Ruffalo (cui alla fine andò il ruolo) convise il regista ad accontentare la sua richiesta di lavorare per lui. Per preparare lui e gli altri interpreti al meglio, e rendere evidente il mood che voleva per il film, il buon Martin mostrò a tutti Le catene della colpa (1947) e La donna che visse due volte (1958).

Perché vederlo. Un viaggio allucinante, senza apparenti speranze, quello che vediamo percorrere a uno sconcertato e paranoide Leonardo DiCaprio. Personaggio ambiguo, che ci restituisce una visione della realtà condizionata dal proprio vissuto, vago e kafkiano, come da intenzioni di Scorsese. Il regista italoamericano qui adatta per il grande schermo l'omonimo romanzo di Dennis Lehane, ma non perde l'occasione per raccontarci una storia di violenza che resta nella "scia di crudeltà, dolore, paura e ossessione" che collega Travis Bickle di Taxi Driver, Jack La Motta di Toro Scatenato, Max Cady di Cape Fear, Bill il Macellaio di Gangs of New York, Frank Costello di The Departed. In questo caso, Teddy Daniels ci accompagna nel lato oscuro della natura umana in un lungo omaggio al cinema europeo e di genere, a patto di abbandonarci all'illusione e alla follia, comprendendo sia la lucida osservazione del contesto quanto la sofferenza che determina lo scollamento dallo stesso… E che tutto l'eccellente cast 'di contorno' contribuisce a evidenziare.

La scena da antologia. Probabilmente il sogno in cui gli appare Dolores, la moglie defunta, in tutta la sua bellezza: Il vestito dai colori brillanti, verde con i fiori, la rende ancora più viva, perfettamente in sintonia con lo stile della casa, dalle tinte luminose e rasserenanti. L'inquadratura omaggia la bellezza eterea e carnosa della protagonista, che sembra però essere lì solo per dare un messaggio al marito: Chanal è ancora sull'isola. Ma Teddy è confuso dalla visione, le si avvinghia in un abbraccio disperato, durante il quale dai soffitti della casa cominciano a piovere brandelli di cenere, come petali neri che coprono di segni di morte quello che fino a qualche secondo pulsava di primavera. E alla cenere segue il fuoco, quello dell'incendio in cui Dolores ha perso la vita. E mentre lei gli dice "Lasciami andare" e la casa arde, Teddy non può che rispondere con la voce rotta: "non ce la faccio".

I Premi. Nessuna vittoria agli Academy of Science Fiction, Fantasy & Horror Films Awards (nonostante le cinque nominations), né al Premio dell'Art Directors Guild per l'Eccellenza delle scenografie del nostro Dante Ferretti (premiato anche dal National Board of Review), o dai vari Empire, Satellite, Fangoria e Nastri d'Argento. In compenso i Circuit Community Awards 2010 ne riconobbero i meriti della Direzione Artistica con un Davis Award, DiCaprio vinse l'Italian Online Movie Award (IOMA) come Miglior Protagonista e la sceneggiatrice Laeta Kalogridis lo Scream Awards di categoria (unico premio delle sei candidature, anche ad attori e regista).

Fonte: QUI

giovedì 16 febbraio 2017

T2: TRAINSPOTTING

T2: Trainspotting

Per parlare di un sequel atteso più di vent’anni, tanto è passato prima che il team abbia scelto di ritrovarsi nuovamente davanti la macchina da presa con gli stessi protagonisti di quel successo commerciale e culturale che fu nel 1996 Trainspotting, forse bisognerebbe partire dal rapporto che aveva il primo film con l'idea del tempo che scorre.

Nel primo Trainspotting i protagonisti si trovavano soprattutto alle prese con la fatidica domanda generazionale di come diventare grandi nella Edimburgo della working class, non avendo troppe possibilità e mezzi, e magari decidendo poi persino di eludere quel sogno di linearità che la società perbenista imponeva loro, quell’imperativo morale di mettere la testa a posto ad ogni costo, di cercarsi un lavoro e di fare soldi quanto basta per sopravvivere dignitosamente. Una premessa abbastanza chiara; tanto che in una pellicola che per stile, frammentarietà, livello di trasgressione assomigliava molto a un lungo viaggio psichedelico, questo orizzonte di senso riusciva a tracciare una qualche parabola per lo spettatore, un sentiero da seguire tra l’effetto psicotropo di una droga e un altro.

C’era un orizzonte in Trainspotting, per quanto nebuloso. Al contrario il secondo capitolo è da questo punto di vista meno cristallino e per questo più disperato, nero e forse persino un po’ più confuso. La premessa del film si esprime da subito ed è quella di un classico ritorno a casa. Mark Renton (Ewan McGregor) 20 anni dopo la sua partenza, torna in Scozia, ritrova gli amici Daniel "Spud" Murphy , Simon "Sick Boy" Williamson, e Francis "Franco" Begbie. 

Un ritorno può voler dire redenzione, ma non c'è troppa voglia di cambiamento nel gruppo di tossici-amici di Edimburgo, ritrovatosi dopo tanti anni. Non sono meno violenti e meno compulsivi i protagonisti di T2. All’eroina in alcuni casi hanno sostituito la cocaina o il viagra, ma non hanno perso per questo la voglia di tradirsi reciprocamente o di regolare i conti con una bella lotta tra pari, scazzottata o lancio di bicchieri che sia. Né tantomeno Danny Boyle ha smarrito la passione per mostrare il suo amore per i fluidi corporei esibiti in primo piano. 

Se c’è una cosa che il gruppo ha invece perso in questo capitolo, ed è evidente al punto da rendere palese un sentimento di malinconia assente in Trainspotting, e la possibilità di credere davvero in una vita diversa. Ora i suoi protagonisti sono stanchi, vecchi ed ex tossici ed è più flebile la speranza che la vita offra loro una seconda chance. E l’orizzonte più prossimo che riescono ad intravedere è proprio quello della morte.

T2 in questo senso non tradisce; non si addolcisce, ed è per questo molto più struggente del primo capitolo; forse a volte persino troppo disordinato. E dove c’era ribellione, adesso prevale un senso appiccicoso di sconfitta, un vagare su se stessi senza troppa forza. Perché T2 è un aggiornamento dei temi del primo film rapportato alla mezza età dei protagonisti, e di certo diverte, fa inorridire, produce humor nero, scorrettezza, voglia di trasgredire in dosi liberatorie, ma fa sentire anche tanta tristezza. Ed è proprio questo senso di 'tempus fugit' che il suo pubblico, ormai cresciuto, credo che non gli perdonerà affatto; forse perché fa male guardarsi allo specchio e sentirsi e vedersi invecchiati. 

Tuttavia il film non manca di difetti. Per esempio l'eccessiva lunghezza, la debolezza dell’unico personaggio femminile, una donna straniera Anjela Nedyalkova (Veronika) che con la sua estraneità, di nazionalità e di contesto, dovrebbe guardare al mondo degli ex tossici con uno sguardo diverso che però non riesce mai a compiersi definitivamente e l’assenza di un vero gancio ‘sociologico’ che metta in relazione i protagonisti insieme al loro contesto: cioè la Scozia del 2016/2017.

T2 resta comunque una dramedy da guardare senza pregiudizi. Perché è un tentativo in parte riuscito di aggiornare il film senza tradirne la sua essenza di mina impazzita, vagante, sempre pronta a colpire con il suo linguaggio visivo schizofrenico e psichedelico, ma non è racconto anacronistico e ostinato nel portare avanti ciò che il tempo, inteso come stagione reale e cinematografica, si è portato ormai definitivamente via.

Fonte: QUI

martedì 7 febbraio 2017

Rane e carciofi al lime e tamarindo

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30 min Livello: Medio Dosi per 4 persone

INGREDIENTI PREPARAZIONE
burro salato 40 gr
rane 16 -
carciofi 4 -
spicchi di aglio 2 -
un limone -
prezzemolo -
lime -
concentrato di tamarindo -
farina -
olio extravergine di oliva -
sale -
pepe -

Per la ricetta delle rane e carciofi al lime e tamarindo, lavate le rane, asciugatele bene, tamponandole con carta da cucina, e tagliate le cosce. Mondate i carciofi, eliminando le foglie più esterne; divideteli a metà e privateli della barba con l’aiuto di uno scavino, quindi tagliateli a fettine sottili e mettetele a bagno in acqua acidulata con il succo di un limone.

Tritate finemente un mazzetto di prezzemolo e, a parte, 2 spicchi di aglio. Infarinate le cosce di rana e rosolatele in una padella con 3 cucchiai di olio per 5’, con un pizzico di sale e una macinata di pepe; aggiungete quindi il burro salato, l’aglio tritato, mezzo cucchiaino di concentrato di tamarindo e il succo di mezzo lime, mescolate e togliete subito dal fuoco.

Adagiate le cosce di rana e le fettine di carciofo su un piatto di portata, guarnite con il prezzemolo tritato e servite.

Fonte: QUI