lunedì 27 marzo 2017

SMETTO QUANDO VOGLIO - MASTERCLASS

Smetto quando voglio 2

Da ricercatori rigettati, che si reinventano criminali con una certa approssimazione, a veri e propri supereroi. Come in un fiim dei Ghostbusters, in Smetto quando voglio - Masterclass c’è tanto della celebre pellicola sui fantasmi, per esempio l'idea della squadra in azione e soprattutto molti omaggi al suo immaginario avventuroso, fluorescente e artigianale, tipo quando i protagonisti appaiono in possesso di macchinari improbabili che fino al momento della loro sfoderamento sul campo non sappiamo mai quanto sgangherati o fallaci possano essere, il secondo capitolo della saga di Sydney Sibilia mette insieme l’umorismo e l'azione tipici di quel cinema da blockbuster a un tema prettamente italiano: la tragedia dei cervelli in fuga.

Oppure, in generale, mostra il dramma contemporaneo di un paese che davvero fa fatica ad accettare gli esiti imprevisti di un sistema accademico e lavorativo che non è più lineare come un tempo; ma anzi spesso nemico e pronto sempre a mostrare la sua faccia peggiore. Quindi, ci si riorganizza con comicità. 
 
E Smetto quando voglio 2 è un film più interessante del primo perché qui è maggiormente evidente il tentativo di mettere insieme l’azione di un certo cinema action, con una sensibilità tutta nostra. E per una volta questa operazione è motivo sia di orgoglio, sia di sicura riflessione.

In Smetto quando voglio 2 ritroviamo il gruppo di rovinosi ricercatori protagonisti del primo capitolo, Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti, con l’aggiunta delle new entry Marco Bonini e Giampaolo Morelli. E non è solo la squadra ad aumentare di volume; anche la sfida è doppia.



Perché i ricercatori, che nel primo capitolo si infilavano nel paradosso di usare le proprie conoscenze scientifiche per creare droghe sintetiche poiché traditi da un sistema accademico non basato assolutamente sulla meritocrazia, sulla linearità, in questo secondo capitolo passano definitivamente dal lato del Male a quello del Bene; in senso di missione collettiva. Cioè collaborano con la polizia e con il nemico pur di sgomberare il traffico delle smart drugs romano.

È un cambio di passo importante che sposta la sfida dei protagonisti un po’ più in là e un po’ più verso il racconto supereroistico, corale e divertente. Smetto quando voglio 2 è in questo senso una buonissima sintesi tra la tematica sociale, che può esistere solo se si ha la capacità di guardarsi dentro a livello di scrittura, quindi plauso a Luigi Di Capua, Francesca Manieri e lo stesso Sibilia che sanno usare la sciabola del paradosso senza timori e la comicità da blockbuster che guarda agli Stati Uniti. Solo che nessuno fino a qui in Italia ha condotto così bene l'esperimento e per due capitoli, saranno tre in totale, in certi versi simili ma anche in grado di differenziarsi e fare un passo avanti ulteriore.

Di budget, di tono, di caratterizzazione. E quando Smetto quando voglio 2 si chiude, lo spettatore sa che nel prossimo capitolo i ricercatori saranno qualcosa di molto simile a certi supereroi; come i cugini Marvel ma senza il difetto della copiatura. Cioè saranno imperfetti, ciascuno con un tic fatale e forse non proprio pronti a rispondere a una chiamata più grande del proprio tornaconto personale. Con questo ultimo fim, dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento, oltre che il primo capitolo di Smetto quando voglio, il cinema italiano sta trovando un suo stile e un suo animo profondo che sa mescolare il racconto della realtà all'azione adrenalinica. Non siamo solo cinema d'autore e lacrime; e questo va detto soprattutto nei confronti di chi sostiene che nella nostra libreria culturale collettiva ci sia posto per un solo libro. O elitario o popolare. Mentre è chiaro che i due sistemi possono allegramente coesistere. E poi questo gruppo di Smetto quando voglio ha persino un leader, Pietro Zinni (Edoardo Leo), che sa davvero fa il suo lavoro di attore e di capo spirituale della gang.

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giovedì 16 marzo 2017

PROPRIO LUI?




Sin dal titolo, il Proprio lui? di John Hamburg (...E alla fine arriva Polly) cerca di suggerire una identificazione con la supposta vittima di turno, il Bryan Cranston genitore amorevole di una figlia scoperta più cresciuta di quanto sperato. Ma la risposta cui ambire sarebbe semmai quella relativa al perché lo sceneggiatore di Zoolander abbia scelto una storia ricca di dinamiche tanto simili a quelle sfoggiate nella trilogia di Ti presento i miei (sempre da lui sceneggiata) invece di offrirci qualcosa di più.

Film alimentare? Probabile. Omaggio a titoli di maggior caratura? Forse. Di certo non si poteva pretendere troppo, che fosse epocale come Indovina chi viene a cena? o aggraziato come Il padre della sposa. Altri tempi. E non solo, visto che ci piacerebbe volgere la domanda che poneva il titolo originale - Why Him?/Perché lui? - a chi ha scelto di sfruttare l'onnipresente James Franco (guarda caso nei panni di un ricco artista residente a Palo Alto), qui estroso ed eccessivo nella ennesima manifestazione che lo vede, ancora una volta, catalizzatore entusiastico di humor triviale e situazioni al limite del demenziale.

Personaggi sulla carta divertenti, che perdono comunicativa e appeal nel loro mettersi eccessivamente in mostra o nel non attendere le responsabilità del ruolo (vedi la giovane Stephanie di Zoey Deutch), e una storia non propriamente originale, anche nel suo puntare su tatuaggi, droghe, minzioni, scarti fisiologici e stereotipi scandalosi forse solo per una categoria di 'benpensanti' che ormai si trova solo nei film. Un taglio e delle scelte che finiscono con rendere gli effetti desiderati come Choc, ben più 'sciocc'… Cameo finale a parte, per quanto non per tutti, che sicuramente potrà commuovere qualche fan degli incredibili personaggi apparsi, più propenso a intenerirsi per il tempo che passa che per il tocco Vintage dell'operazione.

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domenica 5 marzo 2017

LIFE, ANIMATED




Più che di tecnica mista, nel documentario Life, Animated di Roger Ross Williams sarebbe più indicato parlare di approccio, o racconto, misto, visti i diversi canali e modalità scelti per mettere in scena l'incredibile storia di Owen Suskind, già descritta nel libro del padre - premio Pulitzer - Ron Suskind: Life, Animated: A Story of Sidekicks, Heroes, and Autism. Di fondo, la descrizione di un quasi miracolo, quello accaduto al piccolo Owen, suo figlio, che all'età di tre anni iniziò a manifestare segni di autismo per poi riuscire a tornare a comunicare - anni dopo - grazie alla sua grande passione per i film della Disney.

Un valido concorrente - come si può facilmente immaginare, 'conoscendo' l'Academy e visto il precedente Oscar vinto dal regista afroamericano della South Carolina per il corto-documentario Music by Prudence del 2009 - per il nostro Fuocoammare candidato nella stessa categoria, ma non certo un film esente da difetti. Diviso inevitabilmente in due parti (quella della malattia e quella relativa alle sfide affrontate da questo nuovo giovane essere umano) e condizionato dalla presenza sullo schermo dello stesso autore Ron Suskind, il viaggio raccontato finisce con l'essere disomogeneo in vari aspetti.

Certo, la vita lo è, tanto più una come quella raccontata. Ma è difficile ignorare l'inevitabile 'recitazione' nella ricostruzione di alcuni punti non banali della vita del giovane protagonista e un rallentamento successivo al 'colpo di scena' principale, che permette più di una distrazione - non tutte valide o consigliabili - dalla linea centrale. Peccati veniali, in fondo, in una storia commovente ed edificante per sua natura e che - per una volta, in barba alla retorica e all'attenzione nell'evitarla - ci mostra realizzata l'influenza e il potere che il cinema e l'arte possono avere nelle nostre vite, come molti millantano o vaneggiano, spesso a sproposito.

E che riesce a farlo senza perdere di vista il quadro complessivo, nel quale diversi interventi e livelli di partecipazione e di dramma vengono resi con diversi tipi di animazioni, di riprese e di testimonianze. Nel quale al pathos della madre di Owen fanno da contraltare l'analisi quasi cronachistica del padre e la paura del futuro del fratello, (guarda caso) Walt. E dove - grazie a lezioni come quelle di Hercules ('non arrendersi'), Mowgli (sui 'nuovi amici'), Pinocchio ('diventare un bambino vero') o Dumbo (sull'affrontare 'sfide difficili') - sarà l'esempio e il coraggio dell'ormai cresciuto Owen - autore di The Land of th Sidekicks e oggi impiegato da ToysRus - a dimostrare con i fatti quanto sciocco sia a volte sentirsi costretti a corrispondere certe aspettative o a farsi dire da altri cosa 'valga la pena' nella nostra vita…

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