domenica 27 agosto 2017

Mattonella di bavarese al formaggio bianco


INGREDIENTI PREPARAZIONE
panna fresca 400 gr
zucchero semolato 145 gr
formaggio fresco tipo quark 125 gr
ricotta 120 gr
farina più un po' per lo stampo 110 gr
cioccolato fondente 100 gr
mascarpone 80 gr
zucchero a velo 30 gr
gelatina in fogli 12 gr
uova 2 -
sale -
burro -
liquore grand marnier o altro a piacere -
Per la ricetta della mattonella di bavarese al formaggio bianco, montate a lungo le uova con 75 g di zucchero semolato e un pizzico di sale, finché non diventano soffici e spumose, poi incorporatevi delicatamente la farina (pasta biscotto). Disegnate sulla carta da forno 2 rettangoli uguali al fondo di uno stampo a cassetta (22,5×8,5 cm); stendete il foglio su una teglia, con la scritta verso il fondo, in modo che non vada a contatto con il cibo; imburrate e infarinate la carta. Raccogliete la pasta biscotto in una tasca da pasticciere, poi distribuitela nei rettangoli a uno spessore di circa 2 cm. Infornate a 180 °C per 12′.

Sfornate i biscotti e lasciateli raffreddare. Ammollate la gelatina in acqua. Amalgamate la ricotta con il mascarpone, il formaggio, 70 g di zucchero semolato, mescolando finché lo zucchero non si sarà sciolto e il composto non sarà omogeneo e liscio. Montate la panna con lo zucchero a velo. Fondete il cioccolato. Strizzate la gelatina, poi scioglietela scaldandola appena in una pentolina con un cucchiaio di liquore. Unite la gelatina nel composto di formaggio e mescolate con una frusta, poi incorporate anche la panna montata (bavarese).

Versate uno strato di bavarese nello stampo, poi colatevi un po’ di cioccolato fuso con una spatolina, in modo da ottenere una variegatura, quindi aggiungete un altro strato di bavarese. Adagiate sopra la bavarese un biscotto, rifilato e spruzzato di liquore. Proseguite con un altro strato di bavarese, cioccolato, ancora bavarese, cioccolato e chiudete con l’altro biscotto, spruzzato di liquore sul lato che va a contatto con la bavarese. Coprite la mattonella con la pellicola e lasciatela raffreddare in frigo per almeno 6 ore. Infine sformatela e decoratela a piacere con ovetti, petali di rosa e cioccolato fuso.

Fonte: QUI

venerdì 18 agosto 2017

Soufflé moretto con lamponi


INGREDIENTI PREPARAZIONE
latte 150 gr
lamponi 125 gr
cioccolato fondente al sale 100 gr
burro più un po' 40 gr
farina 30 gr
albumi 5 -
tuorli 4 -
zucchero -
cognac -
sale -
Per la ricetta dei soufflé moretto con lamponi, schiacciate i lamponi con 50 g di zucchero e lasciateli macerare per 1 ora. Poi distribuiteli sul fondo di 4 stampini (ø 8 cm, h 5 cm) imburrati e spolverizzati di zucchero. Fondete a bagnomaria il cioccolato fondente al sale.

Mescolate la farina e la maizena e intridetele con il burro morbido; unite il composto nel latte caldo e mescolate velocemente con la frusta in modo che non si formino grumi. Portatelo sul fuoco per un paio di minuti, finché non comincia a rapprendersi.

Togliete dal fuoco e unite i tuorli, un cucchiaio di Cognac e il cioccolato fuso. Mescolate con la frusta e fate raffreddare il composto per 30′ circa. Montate gli albumi a neve con un pizzico di sale e 3 cucchiai di zucchero e incorporateli al composto. Versatelo nei 4 stampini e infornateli a 180 °C per 30′. Sfornate i soufflé e serviteli immediatamente, decorando a piacere con lamponi freschi.

Fonte: QUI

lunedì 7 agosto 2017

Austerlitz



Nacht und Nebel. Notte e nebbia. L’operazione di annientamento attraverso l’internamento nei campi di concentramento diede anche il titolo al memorabile documentario che Alain Resnais realizzò nel 1956. Che cosa è rimasto da raccontare, anche cinematograficamente parlando, 60 anni dopo quell’incredibile sguardo sull’Olocausto?

Sergei Loznitsa è un cineasta che proprio intorno alla struttura dello sguardo cinematografico continua a regalare opere di straordinaria potenza: a parte le parentesi di “finzione” con My Joy e In the Fog (oltre all’episodio Reflexions per il collettivo I ponti di Sarajevo), con Maidan (2014) e The Event (2015) filmò rispettivamente la recente rivoluzione ucraina e ci riportò ai giorni del golpe russo del 1991. Questa volta, partendo probabilmente da altre premesse (il titolo, Austerlitz, si rifà volutamente all’omonimo di W.G. Sebald, ed. Adelphi), si è ritrovato ad osservare come lo sguardo del presente finisca per rimanere indifferente di fronte alle tragedie della Storia.

Sì, perché se è vero che il professore di architettura che dava il cognome al titolo dell’opera di Sebald studiava quegli edifici che, “soprattutto nell’Ottocento, tendevano ad assumere forme involontariamente visionarie, sovraccarichi com’erano di significati simbolici”, Loznitsa finisce invece per immortalare – attraverso l’utilizzo della camera fissa – lo svuotamento di senso che, ai giorni nostri, caratterizza un luogo come il campo di concentramento. Che nel corso dei decenni si è trasformato da custode di indicibili orrori a meta turistica di massa: ARBEIT MACHT FREI, allora, diventa l’equivalente di un BENVENUTI A DISNEYLAND, “cartello” di fronte al quale scattarsi foto ricordo in mezzo al continuo via vai di visitatori, dove il rumore del passaggio, il chiacchiericcio della quotidianità, inquinano il silenzio della memoria.

Dapprima quasi appostata (timidamente) dietro al fogliame di un albero, la macchina da presa di Loznitsa non interferisce in nessun modo con la giornata tipo di questi luoghi “della memoria”, come a Sachsenhausen (che su TripAdvisor ha 4 stelle e mezza…), ma ne porta in superficie la tragica contraddizione: famiglie con bimbi (o cani) nel passeggino, adolescenti con magliette a dir poco antitetiche (“Cool Story Bro!”…), adulti con magliette profetiche (“Jurassic Park”…), smartphone e dispositivi per l’audioguida che si confondono alla vista, guide che con disinvoltura passano dal racconto dettagliato della morte sotto le “docce” o nei forni crematori al “se ci sbrighiamo abbiamo più tempo per mangiare”, gli orrori della storia diventano un qualcosa da immortalare per poter dire “Io c’ero! (per fortuna dopo…)”, condividendone magari sui vari social anche il lato “sdrammatizzante” (il tizio che si fa fotografare assumendo l’ipotetica posa di chi, all’epoca, veniva torturato dai nazisti).

“L’idea di fare questo film mi è venuta perché visitando questi luoghi ho sentito subito una sensazione sgradevole nel mio essere lì. Sentivo, come dire, che la mia presenza non fosse etica in posti simili”, spiega Loznitsa, che avrebbe voluto capire attraverso il “volto delle persone come ciò che guardavano si riflettesse sul loro stato d’animo. Ma non nascondo di esserne rimasto abbastanza perplesso”.

L’immagine etica e quella superflua: è anche, forse soprattutto, un film che vuole ragionare su questo aspetto, Austerlitz: quel che è certo, è che Loznitsa ci ricorda quanto il nostro rapportarci alla Storia, il modo in cui assimiliamo, “capiamo”, sia ormai viziato e massivamente distante da qualsiasi tentativo di riflessione.  E, per farlo, lascia parlare le inquadrature fisse, che rimangono libere nello spazio incidentalmente occupato dall'”uomo”.
Un film importantissimo, tra i più lucidi e al tempo stesso devastanti sulla tragedia della Shoah.

Fonte: QUI