lunedì 25 aprile 2016

Nahid





Nahid è una donna bella e orgogliosa, vive con un figlio preadolescente in una cittadina nel nord dell’Iran che affaccia sul mar Caspio ed è divorziata da un marito tossicodipendente e col vizio del gioco. Per sopravvivere lavora come dattilografa e fa le pulizie, ma non riesce a pagare l’affitto e il padrone di casa cambia spesso la serratura dell’appartamento in cui vive, proponendole al tempo stesso il proprio figlio come marito. È innamorata di un vedovo, ricco e generoso, che vuole sposarla. Ma secondo le rigide leggi del paese, se si risposa la custodia del figlio, che sembra già voler seguire le orme del padre, andrà a lui e alla sua famiglia e questo Nahid non può e non vuole permettere a costo, forse, di rinunciare alla felicità.
Secondo sguardo – stavolta interamente femminile - della rassegna Nuovo Cinema Teheran sul cinema iraniano contemporaneo, Nahid è un film di impeccabile bellezza formale e assoluto rigore, affascinante e senza compromessi nel dipingere una figura di donna forte e volitiva in un contesto che ai nostri occhi occidentali appare non solo ingiusto ma addirittura assurdo, ed è invece comune in un paese che pure ha fatto grandi progressi sul tema della parità tra sessi, come già commentavamo nella recensione di Un mercoledì di maggio. Un conto è però abitare in una grande città ed essere benestante, un altro vivere in provincia dove chi non può mantenersi da sola è ricattabile, visto che basta un niente per essere dati in pasto al pubblico scandalo e venire di fatto esclusi dai propri diritti di madre e dalla vita sociale. Così l’eroina del film, dopo aver inizialmente rifiutato la proposta dell’uomo che ama per non perdere il figlio, si imbarca in una vita segreta, fatta di bugie che non potranno reggere a lungo, sposandosi con un matrimonio temporaneo (un escamotage permesso dalla legge, che fa più danni che altro), trovandosi in una situazione perfino peggiore che la induce quasi a lasciar perdere, fino al finale che riapre alla speranza.
Manca il fiato nel vedere quello che questa donna deve affrontare per colpa di un matrimonio sbagliato contratto quando era molto giovane. Anche dopo il divorzio la si costringe a scegliere tra la sua identità di donna e madre, lacerandole il cuore e la mente. Sottoposta a pressioni continue da parte dell’ex marito irresponsabile, della famiglia di lui, della propria, dei padroni di casa e dell’uomo che vuole vederla felice, finisce per esplodere e ribellarsi anche in modo autodistruttivo. Quante di noi, nei suoi panni, ce l’avrebbero fatta? È un ritratto di donna potentissimo quello creato dalla penna della giovane regista debuttante Ida Panahandeh e interpretato dalla straordinaria Sareh Bayat, la badante di Una separazione. Senza moralismi, con disperata ironia e la ferocia di una tigre che difende il suo piccolo, per quanto scapestrato possa essere, ci ricorda un’altra donna oppressa ma determinata, la Viviane del film israeliano con la compianta Ronit Elkabetz. E ci piace la sua testardaggine e la confusione che ha nel cuore, capace di renderla crudele, il suo dibattersi nella rete in cui si trova intrappolata, messa di fronte a una scelta crudele a cui nessuna donna dovrebbe mai esser costretta.
Perché è un personaggio umanissimo e reale, che senza diventare paradigmatico ci ricorda tutte le donne intelligenti, amorevoli e capaci che sono ancora oppresse nel mondo. Molte cose sono cambiate in Iran, è vero, ma non la cultura patriarcale che considera scandaloso che una donna resti sola e cerca in tutti i modi di impedirlo e che permette a qualsiasi parente maschio di alzare le mani su di lei. Il film si apre e si chiude sulla spiaggia dove i protagonisti vengono ripresi dalle telecamere di sorveglianza dell’albergo gestito dall’amante di Nahid. È un mare autunnale, nebbioso e senza sole, che rispecchia il loro stato d’animo. Per chi è abituato a manifestare liberamente i suoi sentimenti fa male vedere un amore costretto a celarsi, dove non ci si può toccare o prendere per mano, e il minimo gesto di intimità è comunque spiato e registrato. Panahandeh fa un gran lavoro anche sulla fotografia, sui suoni e sulle musiche di un film di debutto davvero notevole, capace di comunicare tutta l’ansia, lo stress e la voglia di libertà della protagonista.

Fonte: comingsoon.it


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