martedì 25 aprile 2017

LA LA LAND




La La Land resta saldamente in testa al box office nostrano con poco più di 600mila euro e respinge l'assalto sia di Split, secondo con mezzo milione di euro, che di Smetto quando voglio - Masterclass, che non riesce a sfondare e deve accontentarsi della posizione più bassa del podio con 474mila euro.
Sempre pimpante L'ora legale, quarto con 466mila euro, che supera di un soffio La Battaglia di Hacksaw Ridge, che potrebbe crescere ulteriormente sulla base del passaparola.
Andrea Chirichelli
Dopo il film di Mel Gibson c'è uno stacco netto, con Sing che continua a macinare incassi e si toglie la soddisfazione, dopo un mese di programmazione, di stare davanti a new entry recentissime quali Sleepless - Il Giustiziere e A United Kingdom - L'amore che ha cambiato la storia, mentre Fallen e Arrival chiudono la top ten. Per il weekend resta quindi favorito La La Land, mentre Smetto quando voglio - Masterclass e L'ora legale hanno solo la giornata di oggi per provare a recuperare posizioni. 

Rings vince il venerdì americano con 5,6 milioni di dollari, ma il favorito per la vittoria nel weekend resta Split, secondo con 4,8 milioni ed un totale arrivato a quota 88 milioni. Sempre tonici Il diritto di contare e La La Land, che viaggiano quasi appaiati a 113 milioni di dollari. Male, come previsto, The Space Between Us, che apre con 1,4 milioni di dollari e vede le stime sul totale del weekend tagliate a 4 milioni. In caduta libera Resident Evil: The Final Chapter e xXx: The Return of Xander Cage. Per il resto, il vero vincitore del weekend sarà il Superbowl. La notizia più interessante della giornata viene però da Fandango, celebre società di prevendita e vendita di biglietti cinematografici: La Bella e la Bestia, primo film di Disney in uscita tra un mese e mezzo, ha già stracciato Dory e Zootropolis quanto a prevendite e gli analisti stimano il primo weekend a oltre 150 milioni di dollari. 
Ieri su MYmovies.it 800.787 visitatori: (+142,95% vs Comingsoon.it). Fonte Audiweb - dati della giornata di sabato 4 febbraio 2017. 

Box Office Italia del 4/02/2017
1. La La Land: Euro 605.367
2. Split: Euro 501.527
3. Smetto quando voglio - Masterclass: Euro 474.693
4. L'ora legale: Euro 466.239
5. La battaglia di Hacksaw Ridge: Euro 452.293
6. Sing: Euro 167.021
7. Sleepless - Il Giustiziere: Euro 163.192
8. A United Kingdom - L'amore che ha cambiato la storia: Euro 149.236
9. Fallen: Euro 125.415
10. Arrival: Euro 118.723

Fonte: QUI

giovedì 13 aprile 2017

LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE, UNA FOLLE CONVIVENZA DI OPPOSTI



In un orizzonte hollywoodiano che rischia il conformismo anche (e soprattutto) quando affronta pigramente i temi dell'agenda sociale più democratica - dal razzismo alla questione femminile - film come La battaglia di Hacksaw Ridge o la stessa presenza del cinema di Mel Gibson appaiono come un regalo stupefacente. 

Nascosto nelle forme di un cinema di guerra nostalgico e squadrato, tagliato con l'accetta del feuilleton e dipinto come un film di George Stevens degli anni Cinquanta, il progetto visionario di Gibson in verità è una sorta di folle convivenza di opposti.
Accusato banalmente di essere "di estrema destra" - e certamente ripugnante nei suoi attacchi pubblici di stampo antisemita - Gibson è in verità un biblista febbricitante, un regista che individua nel mezzo cinematografico la tavolozza più adatta a raccontare destini estremi, esaltati e pazzoidi al tempo stesso.
Roy Menarini
Proprio l'apparente classicità di La battaglia di Hacksaw Ridge serve a mitigare da una parte la furia delle sequenze di battaglia (e dire che con Salvate il soldato Ryan - sorta di specchio riflesso di questo film - pensavamo di averle viste quasi tutte), e dall'altra la paradossale vicenda dell'eroe. A differenza di La legge del signore, dove il quacchero Giosuè decide di andare in battaglia trasgredendo le regole della sua religione, e diversamente da Il sergente York, dove il tiratore scelto comprendeva che sparare al nemico avrebbe accontentato Dio e il Vangelo salvando vite umane (opera ben presente nella testa di Clint Eastwood per il suo American Sniper, e citata anche dal solito Spielberg), Desmond Doss va fino in fondo e non spara un colpo.

Come Mel Gibson sia riuscito a girare un film non pacifista su un pacifista, un film di violenza biblica su un uomo che rifiuta la violenza, un film eroico su un quasi suicida, un film irrazionale su una persona che sa razionalmente misurare fino a dove si deve spingere il proprio credo, è forse l'impresa più cinematograficamente appagante dell'anno.
Ma soprattutto, La battaglia di Hacksaw Ridge condivide con Silence di Martin Scorsese, oltre al protagonista Andrew Garfield (in entrambi i casi religioso e inerme), anche il sogno di un cinema ad alte latitudini, capace di affrontare i massimi sistemi e gli interrogativi più ingombranti.
Roy Menarini
Certamente più spettacolare dell'intimo, doloroso capolavoro di Scorsese, il film di Gibson può puntare a una platea decisamente più ampia, mantenendo una sorta di fedeltà agli ideali del regista pur dentro logiche di compromesso spettacolare che riescono a esaltare ancora di più il gesto autoriale. Si era detto, di La passione di Cristo o Apocalypto, che fossero film a loro modo isolati, che parlassero per puro caso a un pubblico inorridito e al tempo stesso affascinato dal sadismo della storia antica. 

Ora, con La battaglia di Hacksaw Ridge, scopriamo che forse le ossessioni di Gibson covano sotto la cenere di un pezzo di Hollywood, percorrono un immaginario troppo spesso incatenato dalle logiche produttive o dalle presunte correttezze politiche, scuotono un pubblico che proprio in questi mesi (Trump, certo, ma anche la drammatica escalation di violenze interetniche dell'ultimo anno di Obama) vive una realtà assai meno stereotipata di quanto si creda. 

E il tanto discusso ritorno della Storia, nell'altrettanto paventata era del ritorno dei fantasmi del passato, forse non è del tutto estraneo al cinema che sta emergendo in questi anni, da American Sniper a Hell or High Water, dai western "razziali" di Quentin Tarantino a Fury.

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mercoledì 5 aprile 2017

XXX: IL RITORNO DI XANDER CAGE



Se quello di Vin Diesel voleva essere un tentativo - dopo quanto realizzato (anche con il suo cortometraggio Los Bandoleros) nel 2009 con Fast & Furious: Solo parti originali - di 'riprendersi' un franchise iniziato con lui e dare vita a una nuova saga… difficilmente il risultato conforterà il simpatico e muscolare attore californiano. Il suo xXx: Il ritorno di Xander Cage, infatti, ben lontano dalla veracità del xXx del 2002 con Asia Argento o dalla ipertrofia dal successivo Xxx 2: the next level ha come principale effetto quello di far rimpiangere il recente e deludente remake di Point Break.

Le immagini del trailer lasciavano presagire una sequela di azioni spericolate, infatti, al limite dello sport estremo, come l'adrenalinico e divertente incipit del film sembrava confermare… Purtroppo, dalle prime battute del nostro eroe l'impressione cambia. E questo ulteriore capitolo della trilogia che vede Xander Cage (assente nel secondo, in realtà) richiamato in servizio dal suo esilio volontario inizia a configurarsi come l'ennesimo prodotto costruito a tavolino, ma senza una particolare cura.

Un paio di brevi apparizioni di Samuel L. Jackson (particolarmente sopra le righe, in maniera positiva, nel prologo condiviso con la sorpresa Neymar Jr.) e quella finale del Deus ExXx Machina che si pone come vero anello di congiunzione tra i precedenti due film, incorniciano una passerella di volti più o meno noti, più o meno ben assemblati, tra i quali spiccano sicuramente Donnie Yen, per simpatia e coreografie, e la splendida modella e attrice indiana Deepika Padukone (Om Shanti Om), ma non Toni Collette, altro grosso nome mal speso e apparentemente poco motivato.

La ricerca della scena ad/e dell'effetto si perde senza raggiungere un climax, e senza preoccuparsi di coerenza, sviluppo o credibilità. Niente di indispensabile in questo tipo di prodotto, ma che segna forse il punto più basso della carriera dello scenggiatore F. Scott Frazier (Autobahn - Fuori controllo, Codice fantasma) e di D.J. Caruso, che almeno nel suo precedente The Disappointmens Room (uno dei vari film, con Tin Man e Standing Up, mai arrivati da noi dopo il Sono il numero quattro dl 2011), aveva offerto un risultato più decoroso e riuscito nonostante il budget minore (allora erano 15 milioni) e - di certo - le minori aspettative. Non un buon viatico in vista del possibile G.I. Joe 3 che potrebbe dirigere in un prossimo futuro.

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lunedì 27 marzo 2017

SMETTO QUANDO VOGLIO - MASTERCLASS

Smetto quando voglio 2

Da ricercatori rigettati, che si reinventano criminali con una certa approssimazione, a veri e propri supereroi. Come in un fiim dei Ghostbusters, in Smetto quando voglio - Masterclass c’è tanto della celebre pellicola sui fantasmi, per esempio l'idea della squadra in azione e soprattutto molti omaggi al suo immaginario avventuroso, fluorescente e artigianale, tipo quando i protagonisti appaiono in possesso di macchinari improbabili che fino al momento della loro sfoderamento sul campo non sappiamo mai quanto sgangherati o fallaci possano essere, il secondo capitolo della saga di Sydney Sibilia mette insieme l’umorismo e l'azione tipici di quel cinema da blockbuster a un tema prettamente italiano: la tragedia dei cervelli in fuga.

Oppure, in generale, mostra il dramma contemporaneo di un paese che davvero fa fatica ad accettare gli esiti imprevisti di un sistema accademico e lavorativo che non è più lineare come un tempo; ma anzi spesso nemico e pronto sempre a mostrare la sua faccia peggiore. Quindi, ci si riorganizza con comicità. 
 
E Smetto quando voglio 2 è un film più interessante del primo perché qui è maggiormente evidente il tentativo di mettere insieme l’azione di un certo cinema action, con una sensibilità tutta nostra. E per una volta questa operazione è motivo sia di orgoglio, sia di sicura riflessione.

In Smetto quando voglio 2 ritroviamo il gruppo di rovinosi ricercatori protagonisti del primo capitolo, Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti, con l’aggiunta delle new entry Marco Bonini e Giampaolo Morelli. E non è solo la squadra ad aumentare di volume; anche la sfida è doppia.



Perché i ricercatori, che nel primo capitolo si infilavano nel paradosso di usare le proprie conoscenze scientifiche per creare droghe sintetiche poiché traditi da un sistema accademico non basato assolutamente sulla meritocrazia, sulla linearità, in questo secondo capitolo passano definitivamente dal lato del Male a quello del Bene; in senso di missione collettiva. Cioè collaborano con la polizia e con il nemico pur di sgomberare il traffico delle smart drugs romano.

È un cambio di passo importante che sposta la sfida dei protagonisti un po’ più in là e un po’ più verso il racconto supereroistico, corale e divertente. Smetto quando voglio 2 è in questo senso una buonissima sintesi tra la tematica sociale, che può esistere solo se si ha la capacità di guardarsi dentro a livello di scrittura, quindi plauso a Luigi Di Capua, Francesca Manieri e lo stesso Sibilia che sanno usare la sciabola del paradosso senza timori e la comicità da blockbuster che guarda agli Stati Uniti. Solo che nessuno fino a qui in Italia ha condotto così bene l'esperimento e per due capitoli, saranno tre in totale, in certi versi simili ma anche in grado di differenziarsi e fare un passo avanti ulteriore.

Di budget, di tono, di caratterizzazione. E quando Smetto quando voglio 2 si chiude, lo spettatore sa che nel prossimo capitolo i ricercatori saranno qualcosa di molto simile a certi supereroi; come i cugini Marvel ma senza il difetto della copiatura. Cioè saranno imperfetti, ciascuno con un tic fatale e forse non proprio pronti a rispondere a una chiamata più grande del proprio tornaconto personale. Con questo ultimo fim, dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento, oltre che il primo capitolo di Smetto quando voglio, il cinema italiano sta trovando un suo stile e un suo animo profondo che sa mescolare il racconto della realtà all'azione adrenalinica. Non siamo solo cinema d'autore e lacrime; e questo va detto soprattutto nei confronti di chi sostiene che nella nostra libreria culturale collettiva ci sia posto per un solo libro. O elitario o popolare. Mentre è chiaro che i due sistemi possono allegramente coesistere. E poi questo gruppo di Smetto quando voglio ha persino un leader, Pietro Zinni (Edoardo Leo), che sa davvero fa il suo lavoro di attore e di capo spirituale della gang.

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giovedì 16 marzo 2017

PROPRIO LUI?




Sin dal titolo, il Proprio lui? di John Hamburg (...E alla fine arriva Polly) cerca di suggerire una identificazione con la supposta vittima di turno, il Bryan Cranston genitore amorevole di una figlia scoperta più cresciuta di quanto sperato. Ma la risposta cui ambire sarebbe semmai quella relativa al perché lo sceneggiatore di Zoolander abbia scelto una storia ricca di dinamiche tanto simili a quelle sfoggiate nella trilogia di Ti presento i miei (sempre da lui sceneggiata) invece di offrirci qualcosa di più.

Film alimentare? Probabile. Omaggio a titoli di maggior caratura? Forse. Di certo non si poteva pretendere troppo, che fosse epocale come Indovina chi viene a cena? o aggraziato come Il padre della sposa. Altri tempi. E non solo, visto che ci piacerebbe volgere la domanda che poneva il titolo originale - Why Him?/Perché lui? - a chi ha scelto di sfruttare l'onnipresente James Franco (guarda caso nei panni di un ricco artista residente a Palo Alto), qui estroso ed eccessivo nella ennesima manifestazione che lo vede, ancora una volta, catalizzatore entusiastico di humor triviale e situazioni al limite del demenziale.

Personaggi sulla carta divertenti, che perdono comunicativa e appeal nel loro mettersi eccessivamente in mostra o nel non attendere le responsabilità del ruolo (vedi la giovane Stephanie di Zoey Deutch), e una storia non propriamente originale, anche nel suo puntare su tatuaggi, droghe, minzioni, scarti fisiologici e stereotipi scandalosi forse solo per una categoria di 'benpensanti' che ormai si trova solo nei film. Un taglio e delle scelte che finiscono con rendere gli effetti desiderati come Choc, ben più 'sciocc'… Cameo finale a parte, per quanto non per tutti, che sicuramente potrà commuovere qualche fan degli incredibili personaggi apparsi, più propenso a intenerirsi per il tempo che passa che per il tocco Vintage dell'operazione.

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domenica 5 marzo 2017

LIFE, ANIMATED




Più che di tecnica mista, nel documentario Life, Animated di Roger Ross Williams sarebbe più indicato parlare di approccio, o racconto, misto, visti i diversi canali e modalità scelti per mettere in scena l'incredibile storia di Owen Suskind, già descritta nel libro del padre - premio Pulitzer - Ron Suskind: Life, Animated: A Story of Sidekicks, Heroes, and Autism. Di fondo, la descrizione di un quasi miracolo, quello accaduto al piccolo Owen, suo figlio, che all'età di tre anni iniziò a manifestare segni di autismo per poi riuscire a tornare a comunicare - anni dopo - grazie alla sua grande passione per i film della Disney.

Un valido concorrente - come si può facilmente immaginare, 'conoscendo' l'Academy e visto il precedente Oscar vinto dal regista afroamericano della South Carolina per il corto-documentario Music by Prudence del 2009 - per il nostro Fuocoammare candidato nella stessa categoria, ma non certo un film esente da difetti. Diviso inevitabilmente in due parti (quella della malattia e quella relativa alle sfide affrontate da questo nuovo giovane essere umano) e condizionato dalla presenza sullo schermo dello stesso autore Ron Suskind, il viaggio raccontato finisce con l'essere disomogeneo in vari aspetti.

Certo, la vita lo è, tanto più una come quella raccontata. Ma è difficile ignorare l'inevitabile 'recitazione' nella ricostruzione di alcuni punti non banali della vita del giovane protagonista e un rallentamento successivo al 'colpo di scena' principale, che permette più di una distrazione - non tutte valide o consigliabili - dalla linea centrale. Peccati veniali, in fondo, in una storia commovente ed edificante per sua natura e che - per una volta, in barba alla retorica e all'attenzione nell'evitarla - ci mostra realizzata l'influenza e il potere che il cinema e l'arte possono avere nelle nostre vite, come molti millantano o vaneggiano, spesso a sproposito.

E che riesce a farlo senza perdere di vista il quadro complessivo, nel quale diversi interventi e livelli di partecipazione e di dramma vengono resi con diversi tipi di animazioni, di riprese e di testimonianze. Nel quale al pathos della madre di Owen fanno da contraltare l'analisi quasi cronachistica del padre e la paura del futuro del fratello, (guarda caso) Walt. E dove - grazie a lezioni come quelle di Hercules ('non arrendersi'), Mowgli (sui 'nuovi amici'), Pinocchio ('diventare un bambino vero') o Dumbo (sull'affrontare 'sfide difficili') - sarà l'esempio e il coraggio dell'ormai cresciuto Owen - autore di The Land of th Sidekicks e oggi impiegato da ToysRus - a dimostrare con i fatti quanto sciocco sia a volte sentirsi costretti a corrispondere certe aspettative o a farsi dire da altri cosa 'valga la pena' nella nostra vita…

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domenica 26 febbraio 2017

LA CACCIA AI FANTASMI



Presentato Fuori Concorso al sessantesimo Festival Internazionale di Berlino, Shutter Island segna la quarta collaborazione di Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio, prima occasione in cui un film dei due non ricevette nessuna nomination all'Oscar. Nonostante il film e i suoi interpreti sappiano trasmettere la necessaria inquietudine e affascinare…

Il film. 1954. Durante la Guerra Fredda, il capo della polizia locale Teddy Daniels e il suo nuovo partner Chuck Aule vengono convocati a Shutter Island per indagare sull'inverosimile scomparsa di una pluriomicida che sarebbe riuscita a fuggire da una cella blindata dell'impenetrabile ospedale di Ashecliffe. Circondati da psichiatri inquisitori e da pazienti psicopatici e pericolosi confinati sull'isola remota e battuta dal vento, i due poliziotti si trovano immersi in un'atmosfera imprevedibile dove nulla è come appare. Con un uragano in arrivo, le indagini procedono velocemente: man mano che la tempesta si avvicina, i sospetti ed i misteri si moltiplicano e diventano sempre più terrorizzanti e terrificanti con l'emergere di oscuri complotti, sordidi esperimenti medici, lavaggi del cervello, reparti segreti, ed eventi soprannaturali...

Dietro le quinte. Quando ancora il film sembrava dovesse chiamarsi 'Ashecliff' (dal nome dell'istituto), si era pensato a Wolfgang Petersen per la regia, e poi a David Fincher. Anche il ruolo di Chuck Aule doveva avere un interprete diverso: il Josh Brolin che DiCaprio e Scorsese avevano già scelto… prima che una accorata lettera 'da fan' di Mark Ruffalo (cui alla fine andò il ruolo) convise il regista ad accontentare la sua richiesta di lavorare per lui. Per preparare lui e gli altri interpreti al meglio, e rendere evidente il mood che voleva per il film, il buon Martin mostrò a tutti Le catene della colpa (1947) e La donna che visse due volte (1958).

Perché vederlo. Un viaggio allucinante, senza apparenti speranze, quello che vediamo percorrere a uno sconcertato e paranoide Leonardo DiCaprio. Personaggio ambiguo, che ci restituisce una visione della realtà condizionata dal proprio vissuto, vago e kafkiano, come da intenzioni di Scorsese. Il regista italoamericano qui adatta per il grande schermo l'omonimo romanzo di Dennis Lehane, ma non perde l'occasione per raccontarci una storia di violenza che resta nella "scia di crudeltà, dolore, paura e ossessione" che collega Travis Bickle di Taxi Driver, Jack La Motta di Toro Scatenato, Max Cady di Cape Fear, Bill il Macellaio di Gangs of New York, Frank Costello di The Departed. In questo caso, Teddy Daniels ci accompagna nel lato oscuro della natura umana in un lungo omaggio al cinema europeo e di genere, a patto di abbandonarci all'illusione e alla follia, comprendendo sia la lucida osservazione del contesto quanto la sofferenza che determina lo scollamento dallo stesso… E che tutto l'eccellente cast 'di contorno' contribuisce a evidenziare.

La scena da antologia. Probabilmente il sogno in cui gli appare Dolores, la moglie defunta, in tutta la sua bellezza: Il vestito dai colori brillanti, verde con i fiori, la rende ancora più viva, perfettamente in sintonia con lo stile della casa, dalle tinte luminose e rasserenanti. L'inquadratura omaggia la bellezza eterea e carnosa della protagonista, che sembra però essere lì solo per dare un messaggio al marito: Chanal è ancora sull'isola. Ma Teddy è confuso dalla visione, le si avvinghia in un abbraccio disperato, durante il quale dai soffitti della casa cominciano a piovere brandelli di cenere, come petali neri che coprono di segni di morte quello che fino a qualche secondo pulsava di primavera. E alla cenere segue il fuoco, quello dell'incendio in cui Dolores ha perso la vita. E mentre lei gli dice "Lasciami andare" e la casa arde, Teddy non può che rispondere con la voce rotta: "non ce la faccio".

I Premi. Nessuna vittoria agli Academy of Science Fiction, Fantasy & Horror Films Awards (nonostante le cinque nominations), né al Premio dell'Art Directors Guild per l'Eccellenza delle scenografie del nostro Dante Ferretti (premiato anche dal National Board of Review), o dai vari Empire, Satellite, Fangoria e Nastri d'Argento. In compenso i Circuit Community Awards 2010 ne riconobbero i meriti della Direzione Artistica con un Davis Award, DiCaprio vinse l'Italian Online Movie Award (IOMA) come Miglior Protagonista e la sceneggiatrice Laeta Kalogridis lo Scream Awards di categoria (unico premio delle sei candidature, anche ad attori e regista).

Fonte: QUI