venerdì 26 maggio 2017

Sfogliatina con yogurt e fragole


INGREDIENTI PREPARAZIONE
yogurt greco 340 gr
pasta sfoglia 280 gr
fragole 250 gr
mandorle a lamelle 15 gr
zucchero a velo vanigliato -
limone -
Per la ricetta della sfogliatina con yogurt e fragole, ritagliate dalla pasta sfoglia 4 dischi di circa 12 cm di diametro e bucherellateli al centro. Cospargeteli di mandorle, spennellateli di acqua e spolverizzateli di zucchero a velo. Appoggiateli ben distanziati su una placca coperta di carta da forno e infornateli a 200 °C per 10′.

Sfornate i dischi di sfoglia e schiacciateli delicatamente in centro: il bordo risulterà più alto, formando una specie di tartelletta. Tagliate le fragole a spicchi. Lavorate lo yogurt con 30 g di zucchero a velo, la scorza finemente grattugiata di mezzo limone e alcune gocce di succo. Distribuite al centro di ogni sfogliatina un quarto dello yogurt e completate con le fragole a spicchi.

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giovedì 18 maggio 2017

Sgombri con fave


INGREDIENTI PREPARAZIONE
filetti di sgombro 480 gr
fave fresche sgranate 100 gr
olio extravergine di oliva 60 gr
basilico -
aglio -
peperoncino -
sale -
pepe in grani -
Per la ricetta degli sgombri al vapore con fave, scottate le fave e sbucciatele. Tagliate a fi lettini una decina di foglie di basilico e mettetele in infusione nell’olio con un pizzico di sale, una macinata di pepe, un pezzettodi peperoncino tritato, uno spicchio di aglio schiacciato e le fave. Lasciate in infusione almeno mezz’ora, poi eliminate l’aglio. Cuocete a vapore i filetti di sgombro, tagliati in due, e serviteli conditi con l’olio alle fave.

Gli sgombri sono ricchissimi di omega 3, che li rende particolarmente indicati nelle diete cardioprotettive. La cottura al vapore esalta al massimole loro prerogative che qui si sposano a quelle delle fave, ricche di fibra e proteine vegetali. Dato l’apporto calorico signifi cativo di questo piatto, lo si potrebbe far precedereda un leggero minestrone di verdura.

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domenica 7 maggio 2017

Split

Split: la recensione del thriller di M. Night Shyamalan


Casey (Anya Taylor-Joy), Clare e Marcia, all'uscita da una festa, vengono rapite da un misterioso inviduo (James McAvoy). La loro situazione è peggiore del previsto: l'uomo soffre di disturbo di personalità multipla, anzi è un caso da manuale, studiato dalla dottoressa Fletcher (Betty Buckley), perché dentro di lui convivono oltre venti personalità differenti. Sarà possibile salvarsi facendo appello ad almeno una di esse?
Dopo lo humor nerissimo low budget dell'horror The Visit, M. Night Shyamalan aggiunge con Split un altro tassello alla sua resurrezione presso pubblico e critica, ancora una volta spalleggiato dalla filosofia pauperistica del producer Jason Blum: una troupe di quasi esordienti a basso costo serve l'autore di Il sesto senso e Unbreakable, sostenuto dall'unico elemento che possa ricordare un passato presso le major, cioè un attore mainstream come McAvoy.
Un McAvoy straordinario, peraltro, pronto ad accogliere la delirante sfida di un personaggio che fa sembrare Norman Bates una persona equilibrata. Come accade di consueto in un lungometraggio dell'autore, non tutto però risponde alle regole strette del genere: i confronti quasi materni tra l'uomo e la psichiatra non seguono l' (efficace) angoscia paranoica da thriller del resto del film, ma fanno venire a galla un'umanità tragicamente tenera che nei lavori di Shyamalan in realtà è sempre esistita. E che l'essenzialità di questa messa in scena sottolinea ancora meglio. Tramite le parole della dottoressa, Shyamalan sposa la tesi secondo cui la condizione mentale del protagonista sia in realtà un potenziale privilegio, l'occasione per andare oltre le nostre singole esistenze. Si tratta di un privilegio però mai scevro di violenza, rabbia e sofferenza, in cui il mondo intero sembra essere immerso: per questo Shyamalan non riesce mai davvero a condannare il suo "mostro". Anzi.
Shyamalan non ha paura di rischiare e farsi male, alla faccia dei Razzie Awards che lo hanno tartassato fino a pochi anni fa. Sa creare un'atmosfera con pochi tocchi, incuriosisce sempre e non vuole mai essere prevedibile. L'apice lo raggiunge con il suo consueto colpo di scena finale, che ovviamente non potremmo mai commettere il delitto di svelare. Possiamo però prendere la questione molto alla lontana, dicendo che le capacità manipolatorie di Shyamalan denotano un'intelligenza rara, che prima o poi anche i suoi detrattori dovranno ammettere: essere "ingannati" da lui è di rado un'umiliazione, quanto più spesso uno stimolo, un segno di una concreta volontà di condividere il proprio entusiasmo per le potenzialità narrative e formali del mezzo. Con una libertà che una major non approverebbe mai.

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martedì 25 aprile 2017

LA LA LAND




La La Land resta saldamente in testa al box office nostrano con poco più di 600mila euro e respinge l'assalto sia di Split, secondo con mezzo milione di euro, che di Smetto quando voglio - Masterclass, che non riesce a sfondare e deve accontentarsi della posizione più bassa del podio con 474mila euro.
Sempre pimpante L'ora legale, quarto con 466mila euro, che supera di un soffio La Battaglia di Hacksaw Ridge, che potrebbe crescere ulteriormente sulla base del passaparola.
Andrea Chirichelli
Dopo il film di Mel Gibson c'è uno stacco netto, con Sing che continua a macinare incassi e si toglie la soddisfazione, dopo un mese di programmazione, di stare davanti a new entry recentissime quali Sleepless - Il Giustiziere e A United Kingdom - L'amore che ha cambiato la storia, mentre Fallen e Arrival chiudono la top ten. Per il weekend resta quindi favorito La La Land, mentre Smetto quando voglio - Masterclass e L'ora legale hanno solo la giornata di oggi per provare a recuperare posizioni. 

Rings vince il venerdì americano con 5,6 milioni di dollari, ma il favorito per la vittoria nel weekend resta Split, secondo con 4,8 milioni ed un totale arrivato a quota 88 milioni. Sempre tonici Il diritto di contare e La La Land, che viaggiano quasi appaiati a 113 milioni di dollari. Male, come previsto, The Space Between Us, che apre con 1,4 milioni di dollari e vede le stime sul totale del weekend tagliate a 4 milioni. In caduta libera Resident Evil: The Final Chapter e xXx: The Return of Xander Cage. Per il resto, il vero vincitore del weekend sarà il Superbowl. La notizia più interessante della giornata viene però da Fandango, celebre società di prevendita e vendita di biglietti cinematografici: La Bella e la Bestia, primo film di Disney in uscita tra un mese e mezzo, ha già stracciato Dory e Zootropolis quanto a prevendite e gli analisti stimano il primo weekend a oltre 150 milioni di dollari. 
Ieri su MYmovies.it 800.787 visitatori: (+142,95% vs Comingsoon.it). Fonte Audiweb - dati della giornata di sabato 4 febbraio 2017. 

Box Office Italia del 4/02/2017
1. La La Land: Euro 605.367
2. Split: Euro 501.527
3. Smetto quando voglio - Masterclass: Euro 474.693
4. L'ora legale: Euro 466.239
5. La battaglia di Hacksaw Ridge: Euro 452.293
6. Sing: Euro 167.021
7. Sleepless - Il Giustiziere: Euro 163.192
8. A United Kingdom - L'amore che ha cambiato la storia: Euro 149.236
9. Fallen: Euro 125.415
10. Arrival: Euro 118.723

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giovedì 13 aprile 2017

LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE, UNA FOLLE CONVIVENZA DI OPPOSTI



In un orizzonte hollywoodiano che rischia il conformismo anche (e soprattutto) quando affronta pigramente i temi dell'agenda sociale più democratica - dal razzismo alla questione femminile - film come La battaglia di Hacksaw Ridge o la stessa presenza del cinema di Mel Gibson appaiono come un regalo stupefacente. 

Nascosto nelle forme di un cinema di guerra nostalgico e squadrato, tagliato con l'accetta del feuilleton e dipinto come un film di George Stevens degli anni Cinquanta, il progetto visionario di Gibson in verità è una sorta di folle convivenza di opposti.
Accusato banalmente di essere "di estrema destra" - e certamente ripugnante nei suoi attacchi pubblici di stampo antisemita - Gibson è in verità un biblista febbricitante, un regista che individua nel mezzo cinematografico la tavolozza più adatta a raccontare destini estremi, esaltati e pazzoidi al tempo stesso.
Roy Menarini
Proprio l'apparente classicità di La battaglia di Hacksaw Ridge serve a mitigare da una parte la furia delle sequenze di battaglia (e dire che con Salvate il soldato Ryan - sorta di specchio riflesso di questo film - pensavamo di averle viste quasi tutte), e dall'altra la paradossale vicenda dell'eroe. A differenza di La legge del signore, dove il quacchero Giosuè decide di andare in battaglia trasgredendo le regole della sua religione, e diversamente da Il sergente York, dove il tiratore scelto comprendeva che sparare al nemico avrebbe accontentato Dio e il Vangelo salvando vite umane (opera ben presente nella testa di Clint Eastwood per il suo American Sniper, e citata anche dal solito Spielberg), Desmond Doss va fino in fondo e non spara un colpo.

Come Mel Gibson sia riuscito a girare un film non pacifista su un pacifista, un film di violenza biblica su un uomo che rifiuta la violenza, un film eroico su un quasi suicida, un film irrazionale su una persona che sa razionalmente misurare fino a dove si deve spingere il proprio credo, è forse l'impresa più cinematograficamente appagante dell'anno.
Ma soprattutto, La battaglia di Hacksaw Ridge condivide con Silence di Martin Scorsese, oltre al protagonista Andrew Garfield (in entrambi i casi religioso e inerme), anche il sogno di un cinema ad alte latitudini, capace di affrontare i massimi sistemi e gli interrogativi più ingombranti.
Roy Menarini
Certamente più spettacolare dell'intimo, doloroso capolavoro di Scorsese, il film di Gibson può puntare a una platea decisamente più ampia, mantenendo una sorta di fedeltà agli ideali del regista pur dentro logiche di compromesso spettacolare che riescono a esaltare ancora di più il gesto autoriale. Si era detto, di La passione di Cristo o Apocalypto, che fossero film a loro modo isolati, che parlassero per puro caso a un pubblico inorridito e al tempo stesso affascinato dal sadismo della storia antica. 

Ora, con La battaglia di Hacksaw Ridge, scopriamo che forse le ossessioni di Gibson covano sotto la cenere di un pezzo di Hollywood, percorrono un immaginario troppo spesso incatenato dalle logiche produttive o dalle presunte correttezze politiche, scuotono un pubblico che proprio in questi mesi (Trump, certo, ma anche la drammatica escalation di violenze interetniche dell'ultimo anno di Obama) vive una realtà assai meno stereotipata di quanto si creda. 

E il tanto discusso ritorno della Storia, nell'altrettanto paventata era del ritorno dei fantasmi del passato, forse non è del tutto estraneo al cinema che sta emergendo in questi anni, da American Sniper a Hell or High Water, dai western "razziali" di Quentin Tarantino a Fury.

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mercoledì 5 aprile 2017

XXX: IL RITORNO DI XANDER CAGE



Se quello di Vin Diesel voleva essere un tentativo - dopo quanto realizzato (anche con il suo cortometraggio Los Bandoleros) nel 2009 con Fast & Furious: Solo parti originali - di 'riprendersi' un franchise iniziato con lui e dare vita a una nuova saga… difficilmente il risultato conforterà il simpatico e muscolare attore californiano. Il suo xXx: Il ritorno di Xander Cage, infatti, ben lontano dalla veracità del xXx del 2002 con Asia Argento o dalla ipertrofia dal successivo Xxx 2: the next level ha come principale effetto quello di far rimpiangere il recente e deludente remake di Point Break.

Le immagini del trailer lasciavano presagire una sequela di azioni spericolate, infatti, al limite dello sport estremo, come l'adrenalinico e divertente incipit del film sembrava confermare… Purtroppo, dalle prime battute del nostro eroe l'impressione cambia. E questo ulteriore capitolo della trilogia che vede Xander Cage (assente nel secondo, in realtà) richiamato in servizio dal suo esilio volontario inizia a configurarsi come l'ennesimo prodotto costruito a tavolino, ma senza una particolare cura.

Un paio di brevi apparizioni di Samuel L. Jackson (particolarmente sopra le righe, in maniera positiva, nel prologo condiviso con la sorpresa Neymar Jr.) e quella finale del Deus ExXx Machina che si pone come vero anello di congiunzione tra i precedenti due film, incorniciano una passerella di volti più o meno noti, più o meno ben assemblati, tra i quali spiccano sicuramente Donnie Yen, per simpatia e coreografie, e la splendida modella e attrice indiana Deepika Padukone (Om Shanti Om), ma non Toni Collette, altro grosso nome mal speso e apparentemente poco motivato.

La ricerca della scena ad/e dell'effetto si perde senza raggiungere un climax, e senza preoccuparsi di coerenza, sviluppo o credibilità. Niente di indispensabile in questo tipo di prodotto, ma che segna forse il punto più basso della carriera dello scenggiatore F. Scott Frazier (Autobahn - Fuori controllo, Codice fantasma) e di D.J. Caruso, che almeno nel suo precedente The Disappointmens Room (uno dei vari film, con Tin Man e Standing Up, mai arrivati da noi dopo il Sono il numero quattro dl 2011), aveva offerto un risultato più decoroso e riuscito nonostante il budget minore (allora erano 15 milioni) e - di certo - le minori aspettative. Non un buon viatico in vista del possibile G.I. Joe 3 che potrebbe dirigere in un prossimo futuro.

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lunedì 27 marzo 2017

SMETTO QUANDO VOGLIO - MASTERCLASS

Smetto quando voglio 2

Da ricercatori rigettati, che si reinventano criminali con una certa approssimazione, a veri e propri supereroi. Come in un fiim dei Ghostbusters, in Smetto quando voglio - Masterclass c’è tanto della celebre pellicola sui fantasmi, per esempio l'idea della squadra in azione e soprattutto molti omaggi al suo immaginario avventuroso, fluorescente e artigianale, tipo quando i protagonisti appaiono in possesso di macchinari improbabili che fino al momento della loro sfoderamento sul campo non sappiamo mai quanto sgangherati o fallaci possano essere, il secondo capitolo della saga di Sydney Sibilia mette insieme l’umorismo e l'azione tipici di quel cinema da blockbuster a un tema prettamente italiano: la tragedia dei cervelli in fuga.

Oppure, in generale, mostra il dramma contemporaneo di un paese che davvero fa fatica ad accettare gli esiti imprevisti di un sistema accademico e lavorativo che non è più lineare come un tempo; ma anzi spesso nemico e pronto sempre a mostrare la sua faccia peggiore. Quindi, ci si riorganizza con comicità. 
 
E Smetto quando voglio 2 è un film più interessante del primo perché qui è maggiormente evidente il tentativo di mettere insieme l’azione di un certo cinema action, con una sensibilità tutta nostra. E per una volta questa operazione è motivo sia di orgoglio, sia di sicura riflessione.

In Smetto quando voglio 2 ritroviamo il gruppo di rovinosi ricercatori protagonisti del primo capitolo, Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti, con l’aggiunta delle new entry Marco Bonini e Giampaolo Morelli. E non è solo la squadra ad aumentare di volume; anche la sfida è doppia.



Perché i ricercatori, che nel primo capitolo si infilavano nel paradosso di usare le proprie conoscenze scientifiche per creare droghe sintetiche poiché traditi da un sistema accademico non basato assolutamente sulla meritocrazia, sulla linearità, in questo secondo capitolo passano definitivamente dal lato del Male a quello del Bene; in senso di missione collettiva. Cioè collaborano con la polizia e con il nemico pur di sgomberare il traffico delle smart drugs romano.

È un cambio di passo importante che sposta la sfida dei protagonisti un po’ più in là e un po’ più verso il racconto supereroistico, corale e divertente. Smetto quando voglio 2 è in questo senso una buonissima sintesi tra la tematica sociale, che può esistere solo se si ha la capacità di guardarsi dentro a livello di scrittura, quindi plauso a Luigi Di Capua, Francesca Manieri e lo stesso Sibilia che sanno usare la sciabola del paradosso senza timori e la comicità da blockbuster che guarda agli Stati Uniti. Solo che nessuno fino a qui in Italia ha condotto così bene l'esperimento e per due capitoli, saranno tre in totale, in certi versi simili ma anche in grado di differenziarsi e fare un passo avanti ulteriore.

Di budget, di tono, di caratterizzazione. E quando Smetto quando voglio 2 si chiude, lo spettatore sa che nel prossimo capitolo i ricercatori saranno qualcosa di molto simile a certi supereroi; come i cugini Marvel ma senza il difetto della copiatura. Cioè saranno imperfetti, ciascuno con un tic fatale e forse non proprio pronti a rispondere a una chiamata più grande del proprio tornaconto personale. Con questo ultimo fim, dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento, oltre che il primo capitolo di Smetto quando voglio, il cinema italiano sta trovando un suo stile e un suo animo profondo che sa mescolare il racconto della realtà all'azione adrenalinica. Non siamo solo cinema d'autore e lacrime; e questo va detto soprattutto nei confronti di chi sostiene che nella nostra libreria culturale collettiva ci sia posto per un solo libro. O elitario o popolare. Mentre è chiaro che i due sistemi possono allegramente coesistere. E poi questo gruppo di Smetto quando voglio ha persino un leader, Pietro Zinni (Edoardo Leo), che sa davvero fa il suo lavoro di attore e di capo spirituale della gang.

Fonte: QUI